
Lo Sbarco dei Mille
Fin dalla partenza da Quarto, nelle prime ore del 6 maggio 1860, dopo l’imbarco avvenuto la sera precedente, il viaggio fu quanto mai travagliato. Intanto, a bordo del Piemonte su cui si trovava Garibaldi e del Lombardo, due vapori della società Rubattino, finanziati anche dai fratelli Antongini di Borgosesia, anch’essi dei Mille, non c’erano armi né munizioni.
Tutta la Sicilia era in fermento, ma non era noto il luogo della costa siciliana in cui sbarcare. La sosta a Talamone e poi a Porto Santo Stefano, per rifornirsi di armi, munizioni, acqua e carbone, comportò altro ritardo al quale se ne aggiunse dell’altro per recuperare un volontario caduto in mare e per ricongiungersi con il Lombardo che aveva fatto perdere i contatti con il Piemonte.
La decisione di sbarcare a Marsala fu presa la mattina dell’ undici maggio, nel tratto di mare tra Marettimo e Levanzo, quando, da un vascello inglese da diporto, si ebbe notizia dell’assenza di navi napoletane nel nostro porto. Notizia confermata, inoltre, dal pescatore trapanese Antonio Strazzera che, fatto salire a bordo del Piemonte, assicurò che a Marsala la guarnigione napoletana era partita per Trapani il giorno prima e che la crociera borbonica si era diretta in perlustrazione verso Sciacca. A tutto vapore, allora, il comandante Castiglia, con l’assistenza dello Strazzera, la cui “paranza” seguiva a rimorchio, diresse la prua verso la nostra città.
Era circa mezzogiorno quando il Piemonte entrò nel porto presso il molo della lanterna bianca, mentre il Lombardo, di una maggiore stazza, condotto dall’impetuoso Bixio, si arenò sui banchi di poseidonia esistenti sui bassi fondali antistanti il molo Woodhouse.
Nel porto si trovavano due navi da guerra inglesi, l’Argus e l’Intrepid, venute a proteggere la comunità britannica degli imprenditori vinicoli dopo che il borbonico generale Letizia, per reprimere l’insurrezione del VII Aprile, aveva ordinato il totale disarmo anche alla comunità inglese. La loro presenza impedì alla crociera napoletana di aprire il fuoco appena arrivata a tiro del porto.Pescatori e ragazzi aiutarono a far scendere a terra i volontari e a scaricare i materiali dal Piemonte e dal Lombardo e in circa due ore tutta l’operazione fu conclusa.
L’ultimo a sbarcare fu il Generale Garibaldi. Intanto, la nave a vela napoletana Partenope, munita di 62 cannoni, assai lenta per lo scirocco che sembrava una brezza (anche il vento cospirava contro i borboni quella mattina !), aveva cominciato a cannoneggiare senza gravi danni: le palle colpivano le tegole delle abitazioni, alcuni fusti di vino dello stabilimento Woodhouse ed un cane che rimase ucciso presso la Porta di Mare.
In conclusione, una serie di ritardi, di contrattempi, di provvidenziali presenze ed assenze fece sì che lo sbarco avvenisse nel posto giusto e nel momento giusto. In tal modo, appena milleottantanove volontari, di cui duecentosettantanove minorenni, molti provenienti dai seminari e dalle università, non addestrati all’uso delle armi, approdati alcuni con scarpette lucide e stivaletti da passeggio, con appena duecentocinquanta che indossavano la famosa camicia rossa, con il crescente apporto dei “picciotti” siciliani, sbaragliarono i ventimila soldati napoletani, sopraffatti dalla guerriglia.
La storiografia universale avrebbe presto assegnato alla Spedizione dei Mille il crisma dell’epopea.